Porta Palazzo genera confronto

In compagnia di Francesca Caferri e Albana Muco, la prima giornalista vicecaposervizio nella redazione esteri di “La Repubblica”, la seconda giovane universitaria di origine albanese, martedì 10 febbraio, incontriamo il gruppo delle universitarie e delle postulanti di via Giulio, a Torino.

La presentazione di un libro: “ Non chiamatemi straniero”, edito da Mondadori nel 2014, scritto  dalla Caferri, dopo un lungo “viaggio di ascolto e di accoglienza”  delle testimonianze di tanti giovani, come Albana approdati e/o cresciuti sul nostro territorio, ci permette di entrare in quel pianeta particolare che non si sa come definire.

Come chiamare, infatti, i ragazzi che, nati o cresciuti in Italia, non hanno cittadinanza italiana perché figli di immigrati?

“Seconde generazioni” no, “nuovi italiani” nemmeno, “generazione Balotelli” meno che meno.

Per Francesca Caferri, che ne ha incontrati tanti, sono “la meglio gioventù”: sono motivati, pieni di energia e di entusiasmo, vogliono avere successo, riscattare la sorte dei loro genitori che si sono piegati a lavori umili pur di farli studiare. Questi giovani raccontano in prima persona l’esperienza quotidiana a cavallo fra due mondi: quello a cui appartengono stabilmente, ma che fatica a dar loro uno spazio, e quello di provenienza, lontano, diverso, a volte oppressivo, che spesso li rinnega.

“Non chiamatemi straniero” è un viaggio pieno di voci: Anwal, Tarek, Christian, Aravid, Amir, Albana e molti altri ci raccontano le loro storie, le loro ambizioni, i loro problemi. All’ingiustizia dei diritti negati si aggiunge l’ingiustizia geografica: vivere a Treviso, Napoli, Roma o Prato per chi non è italiano a tutti gli effetti è molto peggio che vivere a Reggio Emilia o a Torino.

Ne scaturisce un ritratto variegato e sorprendente, che dovrebbe interessare anche il nostro mondo pastorale: un milione di bambini e adolescenti che nascono, crescono, vivono e si formano sul territorio nazionale, ma restano ancora in mezzo ad un guado: stranieri nel Paese dove sono cresciuti proprio come in quello da dove arrivano i loro genitori.

Per questo in loro domina la delusione per una realtà che troppe volte ha sbattuto loro le porte in faccia, il senso di un’identità sospesa, incerta, in bilico, come il futuro di questi ragazzi, su cui gravitano, ancor più pesantemente che sugli autoctoni, i ritardi e le incongruenze legislative.

Siamo di fronte ad un bivio decisivo: possiamo continuare a ignorare le giuste rivendicazioni dei giovani “di seconda generazione” alimentando una rabbia che potrebbe assumere forme violente come nelle banlieues parigine, o valorizzare questi nuovi concittadini come una preziosa risorsa del presente…e non solo del futuro. Perché “il mondo è qui adesso” e l’Italia è un’Italia che cambia, qui-adesso.

…E noi, di Porta Palazzo, FMA e simpatizzanti, abbiamo provato a dare, ancora una volta, un piccolo contributo ai passi di cambiamento, scommettendo una “serata diversa” in via Giulio.

Francesca e Albana hanno scommesso con noi, arrivando da lontano: una da Roma, mamma e giornalista nel mondo,  l’altra dal suo viaggio dall’Albania, riletto alla luce di una personalità lucida e determinata. Un’equilibrista fra due mondi che, come un “carro armato”, si racconta con passione e con sana aggressività condivide pezzi della sua storia, incrociati con Torino…la “bella” Torino: quella delle politiche interculturali, quella del Servizio Civile per giovani stranieri, una sfida di qualche anno fa, progetto all’avanguardia di Ilda Curti, vulcanico assessore alle politiche di integrazione del Comune, che ha saputo credere e valorizzare queste presenze. Una Torino dove Albana, però, si sente ancora “bilicante”, fra due culture, tradizioni, mondi diversi: uno d’origine e l’altro di appartenenza… ma un’Albana che, tuttavia, in modo criticamente grintoso e passionale, spera in un futuro dell’Italia e ne immagina la foto, arricchita anche da “quelli come lei”!

E’ stata una serata intensa, dove un po’ tutti ci siamo messi in gioco: autori, testimoni e pubblico. Un pubblico particolare: giovani universitarie, fra cui Sandrine  giovane studentessa camerunense, una comunità di Figlie di Maria Ausiliatrice e le postulanti: ragazze in cammino di discernimento di vita che intravvedono la consacrazione religiosa-salesiana come orizzonte possibile di scelta e si aprono a prospettive pastorali adeguate ai “segni dei tempi”… pastorale  giovanile interculturale e interreligiosa… perché no?

Non più spazzacamini, né maniscalchi, né lustrascarpe… Fatima, Kadhija, Said, Mustafa, Feith, Mercy… in questo bicentenario di don Bosco i giovani “giù dai colli e in mezzo al mare” ci interpellano, scrivendo su pezzi di cartone: “non siamo miraggi”.

 

Sr Julieta e sr Paola

 

NB  alcuni passaggi sono stati estrapolati dal libro: Non chiamatemi straniero, Francesca Caferri,  Mondadori 2014

 

L’espressione “non siamo miraggi” era scritta su un pezzo di cartone al fianco di Daniele, giovane di Cagliari, senza fissa dimora  e senza lavoro, sotto i portici di Via Po.